Gli Stranieri in Italia
Di Alex (del 23/03/2007 @ 18:07:55, in Società, linkato 1453 volte)
Le prime leggi sugli stranieri che immigrano in Italia appartengono agli anni ’80 e ai primi anni ‘90 (943, legge Martelli) e sono modifiche rispetto alle norme regie e fasciste ancora in vigore, proprio in quel periodo si è evidenziata una nuova situazione (effetto anche delle guerre moderne) che necessitava di un nuovo corpus di leggi per regolamentare gli afflussi e la permanenza, la prima legge organica è la legge Turco-Napolitano, poi definita 286, del 1998. Successivamente è stata approvata una legge (Bossi-Fini o 189 nel 2001) che si confrontava con una situazione notevolmente ampliata come quantità di afflussi e richieste degli stranieri già presenti sul territorio. Quest’ultima legge, e le sue successive modifiche, ha però avuto un effetto sconvolgente nei confronti del cittadino straniero.
Infatti la naturale esigenza di uno Stato che debba far fronte ad un fenomeno immigratorio sul suo suolo dovrebbe essere quella di regolamentare l’accesso ed integrare le persone presenti sul territorio inserendoli nella situazione sociale ed economica già presente. Diversamente l’ultima legge ha avuto l’effetto di rendere difficoltosa l’integrazione, esasperare la complessità dei procedimenti burocratici per ottenere documenti ed altre facilitazioni, con l’effetto di far rischiare l’illegalità a cittadini anche già inseriti e persino integrati (non riuscendo questi a produrre sempre tutte la documentazione e le garanzie richieste), e mantenere spesso chi arrivasse in Italia in uno stato di difficile soluzione integrativa. Sicuramente è da punire chi scelga di delinquere, senz’altro non è funzionale alla società chi segue sistemi illegali (stranieri e non), ma sembra assurdo costringere, a volte senza possibilità di scelta, centinaia di persone a scivolare nell’illegalità o a sceglierne fin dall’inizio la strada ponendo difficoltà a volte insuperabili a livello amministrativo.
La nuova legge proposta dal Governo Prodi sembra puntare in un’altra direzione, riavvicinandosi alle scelte dei primi anni ed assicurando, pur con le dovute verifiche, una possibilità maggiore agli stranieri di poter fare un percorso lavorativo e sociale conveniente.
Un problema comune a tutte le scelte fatte fino ad ora in campo giuridico è stato quello di non contemplare coerentemente tutte le situazioni possibili, rimangono molte zone grige nelle leggi tali da rendere possibili varie interpretazioni o casi particolari che non hanno una definizione specifica nel corpus legislatorio. Sono accaduti anche casi di contraddizioni tra successive promulgazioni. Occorre anche tenere conto del fatto che le leggi nazionali sono applicate a livello provinciale dalle Questure dei capoluoghi, questo comporta che quando la legge non è chiara ogni Questura interpreta in maniera particolare la sua applicazione, determinando una differenziazione di comportamenti a seconda dei luoghi. Più la legge è restrittiva più è facile che si cada in queste situazioni. Va considerato il fatto che spesso le reali possibilità di regolarizzazione ed integrazione devono confrontarsi con le norme, ma anche con le situazioni specifiche, si occupano delle prime le istituzioni, delle seconde i servizi sociali, anche se spesso accade che le necessità economiche e le scelte dirigenziali portino anche questi ultimi verso decisioni più amministrative, ledendo il giusto contrasto democratico tra chi si occupa di burocrazia e chi di fattori umani.
I CPT avrebbero dovuto essere centri di accoglienza per coloro che erano giunti in Italia senza nessun documento o visto dell’ambasciata che permettesse loro di regolarizzarsi. In realtà si sono ben presto trasformati in centri di detenzione, con tutte le conseguenze che questo può comportare: cittadini stranieri indotti a delinquere per sopravvivere e completamente a carico dello Stato.
La nuova legge, in discussione in questi giorni, reindirizzerebbe i cittadini non regolari nei veri centri di accoglienza, dai quali, se hanno le condizioni adatte, potrebbero iniziare un percorso di regolarizzazione inserendosi come parte attiva della società, e i Cpt, ridotti di numero, come centri di detenzione provvisoria per gli stranieri da espellere. Ripristinando una corretta interpretazione degli strumenti e un rispetto della persona più degna di un paese con una cultura adulta.
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